L'affondamento del Torino, Milano e Genova

Gruppi di partigiani, che a mano a mano assumono la consistenza di divisioni e si raggruppano nel Comi- tato di Liberazione Nazionale Alta Italia» (C.L.N.A.I.) contrastano le Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana e l'Organizzazione Tedesca in Italia. I comandanti partigiani Filippo Frassati (Pippo) con il raggruppamento Perotti e Armando Calzavara (Arca) con il raggruppamento «Cesare Battisti», ambedue della divisione Piave, occupano Cannobio sulla riva piemontese del Lago Maggiore e altre località vicine il 1° settembre 1944.

Scrive nel suo diario il capitano della motonave «Airolo», Arrigo Falcomer:

«Il giorno 2 settembre 1944 alle ore 13, in arrivo a Cannobio da Arona, assumo il comando della M/N Airolo che si trova ormeggiata al pontile sussidiario, a disposizione del Comando Tedesco di Cannobio. Verso le ore 13,20 mentre mi trovo in sala a leggere, sento dei colpi d'arma da fuoco, mi reco sul ponte di prua e vedo una motovedetta della Finanza che, uscita dal porto della Dogana, è fatta segno a colpi di mitraglia provenienti dalla montagna.

Vedendo che i colpi infittiscono e sono diretti anche verso l'Albergo Cannobio, sede del Comando Tedesco, coi membri dell'equipaggio mi porto sottocoperta e ivi restiamo fino a quando un partigiano armato di fucile ci si presenta e ci dice che il battello, data l'occupazione di Cannobio, resta a disposizione del Comando della piazza. Durante i sette giorni di occupazione è sempre mia cura quella di evitare che il natante venga adoperato per scopi bellici, ed in ultimo che il natante rimanga ormeggiato entro il porto, in modo da essere meno esposto.

Durante tutto il tempo dell'occupazione, i viaggi del natante sono: uno a Cannero il giorno 5 sera per trasportare una mitragliera antiaerea e 15 partigiani; uno a Valmara il giorno 6 per il trasporto di una ventina di partigiani a Cannobio; il giorno 8 due volte a Luino per lo scambio degli ostaggi.
La mattina del giorno 9 vengo svegliato da colpi d'arma da fuoco e quando esco all'aperto, vedo che già la piazza è occupata dagli Allievi Ufficiali Repubblicani. Poco dopo un ufficiale mi si presenta e mi ordina di eseguire con la motonave dei servizi per conto della Polizia Sussidiaria di Varese».

Un qualcosa di simile tocca al piroscafo «Torino». Scrive, infatti il capitano Fernando Caldini sul rapporto redatto alla Polizia Ausiliaria di Luino:

La sera del 2 settembre 1944 il piroscafo secondo il turno di servizio prestabilito, e dietro ordine della Direzione, si recava a Cannobio in corsa 30 per sbarcare i passeggeri colà diretti, dovendo poi, sempre secondo gli ordini ricevuti, recarsi subito a Luino, da dove si sarebbe recato a Cannero l'indomani mattina per iniziare la corsa 3 alle 6,45. Giunto all'imbarcadero di Cannobio il piroscafo viene requisito dai partigiani e alle mie osservazioni circa il servizio da eseguire dopo, mi viene risposto di non muovere il piroscafo altrimenti lo mitraglierebbero. Pertanto devo ormeggiare e secondo gli ordini avuti lascio spegnere i fuochi delle caldaie. Passano così i giorni da domenica a venerdì 8 settembre senza che il piroscafo faccia alcun servizio. In questo giorno mi è ordinato di portare nella notte il piroscafo al pontile di Valmara, situato a una cinquantina di metri a sud del confine Italo-Svizzero, nonostante io mi opponga per varie ragioni. Nella notte viene eseguito il movimento, arrivandovi alle ore 1 circa.

La mattina seguente poco prima delle ore 7 viene dato l'allarme, mentre l'equipaggio dorme, e si sta compiendo uno sbarco a nord di Cannobio. Usciti sulla strada presso il confine, ci è ingiunto dai partigiani ivi dislocati di passare col piroscafo il confine, altrimenti esso sarebbe fatto saltare o incendiato. Io tento di oppor- mi ad entrambe le decisioni, e passa un po' di tempo, facendo notare che i fuochi sono spenti e la pressione rimasta nelle caldaie (2 atmosfere) non è sufficiente per muovere la macchina.

Per evitare l'inutile distruzione del piroscafo stesso, che è affidato alla mia diretta responsabilità, tento di farlo mettere in moto facendo accendere i fuochi per guadagnare il largo, ma inutilmente perché la macchina, fatto qualche giro, si ferma. Intanto comincia ad abbat- tersi sul piroscafo una grandine di colpi di fucile e mitragliatrice che rendono inutile e molto pericoloso attendere che la pressione salga per avere forza sufficiente per portarsi al largo e andare verso la sponda lombarda fuori dei tiri. Perciò decido di lasciare porre in salvo l'equipaggio; alcuni si salvano a nuoto e altri con alcuni giri della macchina e con l'aiuto di un vento fresco di tramontana che spinge il piroscafo ad arenarsi di prua verso la riva, riescono a saltare a terra tra l'infittirsi dei colpi.
Un tentativo di fare cessare il fuoco, che avrebbe per- messo di rimanere tutti a bordo, issando una bandiera bianca, risulta inutile.

L'equipaggio fortunatamente al completo, ma stremato di forze, si riunisce nell'edificio della Dogana Svizzera dove viene assistito dal personale civile e militare e dagli Ufficiali Svizzeri presenti, testimoni oculari di tutto l'ac- caduto. Il piroscafo viene abbandonato verso le ore 8 e rimorchiato dalla motonave «S. Cristoforo». L'equi- paggio quindi è trasferito in una trattoria situata nelle vicinanze del confine per mangiare ma appena avvertito che il confine italiano è presidiato dalle autorità, si presenta a queste, e ivi trova anche il professor don Bava, cappellano, abitante a Valmara che con le autorità ita- liane e svizzere, si è interessato delle nostre condizioni. Il personale successivamente viene avviato a Luino dove si ferma fino al giorno 10 alle 21. A quest'ora, secondo gli ordini ricevuti, parte per Maccagno Inferiore dove prende in consegna il piroscafo ivi ormeggiato».

I partigiani, pur lasciando Cannobio, fondano la gloriosa Repubblica dell'Ossola che vive dal 9 settembre al 23 ottobre 1944 quando le truppe tedesche, agli ordini del feldmaresciallo Kesselring, riprendono l'intera zona imbaldanzite dal blocco sugli Appennini con la linea gotica dell'offensiva Alleata verso la pianura padana. Frattanto la tragedia incombe sui piroscafi in ser- vizio sul Lago Maggiore.

Il 25 settembre 1944 alle 15 circa, aerei anglo- americani sopra lo specchio d'acqua davanti all'imbarcadero di Baveno mitragliano con pallottole perforanti, incendiarie ed esplosive il piroscafo "Genova", carico di normali viaggiatori civili, in arrivo a Baveno da Pallanza.

L'approdo viene effettuato dal timoniere perché il capitano Edoardo Fornara è ucciso; si sbarcano i feriti e gli scampati, poi il piroscafo, preda delle fiamme, viene disormeggiato dal personale dell'Istituto Idrografico della Marina, sfollato a Baveno, per tema di nuovi attacchi e dello scoppio delle caldaie e spinto al largo, dove affonda adagiandosi a circa 14 metri.

Il piroscafo "Genova" in fiamme sta per inabissarsi. Sullo sfondo la sponda di Pallanza e il Monterosso.

Nella stessa giornata altri aerei si portano sopra Intra, bombardano l'abitato e proseguono per Luino dove, alle 15, mitragliano il piroscafo "Torino" attraccato al pontile ma con a bordo il solo personale di equipaggio, che fa in tempo a porsi in salvo. Il "Torino" si incendia e affonda su un basso fondale.

In seguito a questi gravi fatti, la direzione sospende il servizio nelle ore diurne, per effettuarlo sola- mente di notte. Sennonché il giorno successivo, 26 settembre, un reparto della "Folgore" che deve trasferirsi da Laveno a Intra, chiede e ottiene la messa a disposizione del piroscafo "Milano" che parte dall'imbarcadero di Laveno alle 9 prendendo a bordo anche viaggiatori civili.

Appena fuori dal golfo di Laveno, una formazione aerea anglo-americana lo centra con un intenso mitraglia- mento, che provoca la morte del comandante Antonio Colombo. Il piroscafo, colpito al timone, va alla deriva fin sulla costa tra San Remigio e la Castagnola dove, verso l'imbrunire, divorato dalle fiamme, affonda.



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